HOW TO DEATH NOTE
Death Note è una serie manga/anime che è ancora ricordata e celebrata ben dopo il boom che serie del genere hanno, quando è un trend fortissimo, non si parla di altro su siti che trattano di quest’argomento, e ai raduni di quell’anno vedete decine di cosplayer di Light Yagami ed L ammettati tra loro, che cercano di fare il biglietto alla stazione senza che la cassiera non gli perculi a piè sospinto.
Il motivo per cui Death Note fece parlare di sé e fu ritenuto uno di quegli anime da mostrare anche a d amici e conoscenti non particolarmente interessati nell’animazione giapponese, è dovuto alla sua premessa davvero particolare, specialmente per uno shonen, per un manga per ragazzi che nonostante tutto è (spiegare perchè significherebbe spoilerare, quindi mi fermo qui), una storia dalla premessa interessante e con un protagonista più raro che unico per la demografica dello shonen.
In qualsiasi altro manga per ragazzi, Light Yagami avrebbe cercato di distruggere l’eponimo quaderno, ma no, qui lo utilizza per massacrare il mondo nella forma che preferisce, usando la tua intelligenza, status, la sua figura pubblica di studente modello, sacrificando tutto quello che può per portare avanti la sua crociata ed il suo perverso senso di giustizia.
Sebbene nella seconda parte del manga (non ho mai finito l’anime, non mi ricordo onestamente se c’erano differenze grosse) il tutto incominci a diventare fin troppo arzigogolato diventando quasi comico, con queste menti geniali ultrameticolose e capaci di prevedere quello che l’altro può pensare di aver previsto ma caute fino all’estremo nel fare una mossa, Death Note è una buona serie, anche ottima, direi, e non è un caso che la gente se ne ricordi bene.
Ecco, quindi immaginate come il fanbase prese la notizia che Netflix ci avrebbe fatto un film live-action di Death Note, con attori e regista non nipponici. Sì, come al solito, come se qualcuno avesse preso un infante, lo avesse spellato ed avesse fatto indossare la pelle ad un manichino, facendo danzare questo al ritmo di musica da circo. Perchè quando hai legato completamente la tua identità ad una qualche opera mediatica, succede che sei davvero un mentecatto che prende tutto come un attacco personale al proprio “spazio sicuro”.
Persone meno urlanti e più ragionevoli espressero comunque forti dubbi, tra teaser e trailer che spiegavano ben poco del film, e la ben nota tradizione di adattamenti live-action di serie o film anime fatti da gente che non capisce né ha interesse a capire nulla del materiale originale, ma lo vuole diluire in modo che sia più digeribile per anche il più stupido dei terricoli. Perchè sono petulante, non scordiamoci che qualche mese prima di questo uscì il remake live-action di Ghost In The Shell, una delle cose più vuote e senz’anima che abbia visto quest’anno.
Con le aspettative ormai inabissate nel centro della terra (sotto il magma), questo 25 agosto è stato reso disponibile su Netflix il film (e non una serie tv come molti ancora credono, immagino perchè è di e su Netflix), quindi parliamo di questo. E per chiarezza, non ho visto i due film live-action giapponese usciti prima, quindi non farò paragoni con essi.
ME LLAMO KIRA MONTOYA
La premessa rimane in gran parte la stessa del manga, ovvero un giorno un giovane studente trova un quaderno per terra che porta la dicitura “Death Note”, che ha un compendio di regole ed istruzioni, la prima di esse è “la persona il cui nome viene scritto nel quaderno morirà.” Qui il giovane Light Turner lo usa in detenzione per liberarsi di un bullo che lo avevo picchiato, senza immaginare che il quaderno fosse davvero efficace, e non uno scherzo di un goth con troppo tempo a disposizione.
Presto il ragazzo viene visitato da una bizzarra creatura, Ryuk, responsabile di aver fatto cadere il Death Note, che gli spiega alcune cose in più sul quaderno, e Light incomincia ad usarlo per uccidere criminali, ripulire il mondo uccidendo i “cattivi”, coinvolgendo una cheerleader di cui è infatuato, Mia, ed operando sotto il nome di “Kira”, diventando una sorta di divinità giustiziera per le masse.
Ma presto un misterioso detective noto come “L” lo sfida pubblicamente, e la caccia a Kira si fa più serrata, con Light che sente la sua onnipotenza sempre più minacciata dal bizzarro ed acuto L che si sta avvicinando fin troppo al suo segreto…
il film di Adam Wingard (You’Re Next, il Blair Witch del 2016, V/H/S) riesce in qualcosa che quasi mai questi adattamenti da manga/anime o da fumetto riescono a far bene, cioè nel conciliare il dover per forza cambiare molte cose per l’adattamento (non dovrei ricordarvi film superflui come il remake frame per frame di Psycho fatto da Gus Van Sant) e nel mantenere gli elementi base dell’opera originale per non rendere l’adattamento solo nominale. Anzi, fa di più, perchè riesce a strizzare l’occhio ai fan dell’opera originale in maniera (perlopiù) subdola quanto basta per non fermare il film e “far manina” ai fan, confondendo od infastidendo chi non conosce la serie.
Voglio dire, uno screenwriter meno competente non si sarebbe dato pena nell’inserire il soprannome “Kira” e spiegare perchè mai Light Turner che vive a Seattle dovrebbe usare questo nome, o buttare una breve sequenza in cui Light legge un libro in cui vi è dipinto un Ryuk stile Hokusai, indicato come “dio della morte”. Piccoli tocchi simpatici che vanno molto lontano, sì, è un pochino imbarazzante visto che “ci provano fin troppo”, ma boh, mi ha fatto più ridere che piangere. 🙂
Va detto che rispetto ad altri anime/manga da passare per il viale del remake/reboot/retelling occidentale, Death Note è una scelta più sensata, perchè la premessa e la storia non è così legata allo scenario (geografico e culturale) del giappone, era già più internazionale fin dall’inizio.
FEDELTA’ E LIBERTA’
Oltre al passaggio da Tokyo a Seattle, anche i personaggi sono diversi, con Light che è sì intelligente ma non è esattamente “perfettino”, NON è il freddo calcolatore che pianifica in ogni dettaglio il suo piano di punizione divina, che non ha remore nel compiere il suo delirio di onnipotenza, è anche spinto a questo da motivi completamente diversi. E mi sta bene.
Ancor più diversa è Mia (per evitar spoiler, mettiamola così), mentre L e Ryuk hanno fatto il passaggio perlopiù intatti come personaggi, con L che ha sempre sonno arretrato di giorni, il tic con i dolci e con la postura, e Ryuk che ha sempre lo stesso look e passione per le mele, ma qui è un’entità molto meno neutrale o alleata verso Light, anzi, ogni sua apparizione è sempre minacciosa o sembra destinata a portare cattive notizie, un misterioso e minaccioso spettatore appena dietro il sipario.

Do you even L?
Ed ha senso, perchè a voler infilare tutti i dettagli e retroscena di volumi e volumi in 1 ora e 40 minuti di film… ci sarebbero stati problemi, che però il film si evita adattando bene il soggetto generale nel contesto diverso, ed inventando la sua trama nel calco di quella originale, riuscendo bene nel dare al film una sua identità e forza che non dipende dall’IP in maniera parassitaria.
Nonostante una discreta fedeltà verso il concept originale, è differente, molto differente in certi punti, ed alcune scelte sono decisamente criticabili, come la cosa del bullo all’inizio, vestigia di un vecchio cinema americano che è meglio dimenticata, altri clichè del tutto “’merigani” e direi le spiegazioni finali arzigogolate che giocano molto con le regole del Death Note, ma queste cose succedono anche nel manga, quindi…
E sia chiaro, il film ha un senso dell’umorismo, non è sempre serio tutto il tempo, e ci sono alcuni momenti in cui è goffissimo, ci sono momenti buffi o di maggiore levità, come quando viene inquadrata una maglietta che ha scritto sopra “le persone normali mi fanno paura”. A volte non sono del tutto intenzionali, ma comunque non distruggono il tono generale dell’opera.
Ma ribadisco, doveva essere differente, sarebbe stato differente, quindi se siete parte dei fan zeloti che non possono accettare la cosa…. potete anche non guardare il film. D’altro canto, se il film fosse stato più simili al manga ci sarebbero state accuse ancora più avvelenate di “americanizzamento”, e quel dettaglio non è come l’anime, è troppo simile ad esso, è troppo diverso, è fedele ma tanto valeva farlo animato, etc.
Cazzo, ci vuole l’analista per capire che un film con attori veri non è come un anime. Non capisco, pensate che per quello e per l’altro dettaglio fatto in un altro modo le persone che non guardano anime avranno voglia di vedere l’anime su cui è basato? Ah, la logica.
Non dovrei stare neanche a spiegarlo, ma immagino se non è supporto od odio totale non va bene per “ l’internet”, non si può trasformare in pollice su e pollice giù.
Ma cosa più importante, è un film valido e ben fatto a prescindere che sappiate qualcosa del manga, con dei personaggi ben caratterizzati, delle buone scene d’azione (con dell’interessante camerawork), delle visuali stilizzate, buona presentazione ed una colonna sonora perlopiù azzeccata. Un thriller horror con un tocco soprannaturale ben diretto e con un buon cast, come Lakeith Lee Stanfield (Straight Outta Compton, Selma – La Strada Per La Libertà), Margaret Qualley (The Nice Guys), ed anche – seppur per poco- Masayori Oka (Heroes).
E William Dafoe nei panni di Ryuk è una scelta fantastica, non che il suo doppiatore italiano sia pessimo (anzi), e potete immaginarvelo, ma dovrete mettere la traccia audio originale per godervelo, perchè Ryuk non è “reale”. É stato utilizzato un processo misto per creare il carismatico dio della morte, un pupazzo/tuta gigante con un attore vero dentro e della CGI usata per il volto, il qualo è stato realizzato con un mocap totale di Dafoe stesso. Ryuk è fantastico da vedere, se foste preoccupati che la sua resa grafica sarebbe stata tirata via, potete tirare un sospiro di sollievo.

Ryuk è stato fatto superbamente, non voglio sentir cazzi.
Una cosa che non ho digerito bene è il finale. Non pessimo come Black Butterfly (un film distruttosi da solo con il finale di merda), ma a parte le rivelazioni finali (molto “Death Note”, a modo loro) mi aspettavo seriamente qualcosa dopo i crediti ed il taglio finale, perchè finisce con un cliffhanger di sorta, lasciando molte questioni irrisolte. Sembra più il finale di una serie tv che di un film, e sebbene abbia senso in un film con un protagonista che ha questo arco narrativo, non l’ho trovato del tutto convincente.
Commento Finale
Le aspettative per il film di Death Note “made in USA” non erano altissime dopo quel teaser confusionario e generico mostrato mesi fa, ancor meno visto la nutrita galleria di deludenti adattamenti live-action di anime/manga da parte di registi occidentali, che quest’inizio estate partorì di nuovo, con il superfluo e vuoto Ghost In The Shell di Rupert Sanders.
Ma contro ogni ragionevole, nera aspettativa verso un film che per molti non era necessario (ma di “necessario” nel cinema c’è ben poco, se vogliamo metterla così), Netflix’s (o Adam Wingard’s) Death Note è un piccolo unicorno, perchè riesce nell’adattare il materiale originale in modo che rimanga fedele quanto basta ad esso, ma ha anche il coraggio ed il cervello di fare qualcosa di suo, di non limitarsi a travasare il soggetto del manga in una diversa parte del mondo, creando qualcosa allo stesso tempo familiare (con subdoli ma ben inseriti occhiolini alla serie originale) ma differente, molto differente in certi aspetti.
Il risultato è un’ottimo adattamento dal manga che invece di cercare una fedeltà estrema a discapito di fare un buon film, crea la sua storia – simile ma molto diversa – nel calco di Obata ed Oba, non omogeinizzando il soggetto per il pubblico generale, e soprattutto è un buon film, con meriti propri che vanno riconosciuti come tali, e lo rendono apprezzabile anche ai non fan, come un ottimo cast (William Dafoe dà la voce e mimica facciale a Ryuk, nuff said), una buona regia, delle visuali interessanti ed un copione di buona qualità.
Non perfetto (ci sono dei problemi, innegabile), ma non si merita le cazziate fatte per stupide prese di posizione da parte di un fanbase che sembra voler apparire come fuori dalla realtà, e criticare tutto quello che “è anime ma non è anime davvero, come si permettono?”.
Ci sono nei, certamente, tra alcuni clichè tipicamente americani ed assai antiquati, l’idea del quaderno della morte che fa molto fumetto (e “tradisce” un po’ l’origine del materiale), alcuni momenti goffissimi e non sempre intenzionalmente tali, ed un finale non del tutto soddisfacente, che è contento di lasciare molte domande senza risposta (per il momento), ma altrimenti sono rimasto assai soddisfatto del film di Adam Wingard, che fa ben sperare per futuri adattamenti da anime/manga non schiavi del soggetto e con qualità proprie.
Certo, non ce n’era bisogno, ma se vogliamo metterla su questo campo, anche Quarto Potere non è necessario, voi non siete necessari, io non sono necessario, e magari la popolazione di stati africani militarizzati avrebbe avuto più bisogno del budget investito per questo film.
Nessuno vi toglierà l’originale manga/anime, non è che se questo esiste cancella l’opera originale. * sigh *
Mentre Warner Bros. continua a cercare un regista per sto benedetto remake di Akira (di cui farei benissimo a meno, ma non volerlo non cambierà il fatto che ormai WB ci ha investito tanto e vorrà non buttare alle ortiche i soldi spesi in anni di progetto), potete benissimo dare un’occhiata a questo, farvi una pennica, o magari continuare a sputare parole come “whitewashing” anche se non sapete cosa significa e fuori luogo.
Tanto alcuni di voi lo faranno lo stesso. 🙂