Disponibilità in Italia: Evento al cinema (24 e 25 ottobre 2017)
–Bozza
Una delle opere d’animazione giapponese più celebrate di recente memoria, La Forma della Voce (noto internazionalmente come A Silent Voice, o “The Shape Of Voice” nel caso di questo adattamento cinematografico) è un’adattamento del manga di Yoshitoki Oima, pubblicato anche in italia da Star Comics. E lo dico subito, avendo letto solo il primo volume del manga (che ora è venduto completo in un cofanetto, come Io Sono Sakamoto, Perchè? , La Divina Commedia di Go Nagai, Lady Snowblood, etc.) non potrò parlare della qualità di questo adattamento in confronto all’originale cartaceo.
Poi eh, nulla vi vieta di urlare durante la proiezione che il film glissa una parte del manga, perchè sì, mi è capitato di sentire esclamare cose del genere in sala. OK. Se proprio devi.

“Uno di questi giorni, Gadget.”
Shoya Ishida, ragazzo delle elementari come gli altri, ha una normale vita, scolastica e non. Le cose cambiano quando in classe arriva Shoko Nishimiya, una ragazza sorda che comunica con gli altri attraverso un quaderno. Come prevedibile, Shoko viene ostracizzata dalla classe per la sua condizione, specialmente da Shoya, che finisce per bullizzarla più di tutti e rompergli gli apparecchi acustici, continuando a vessarla fino a che lei non viene spostata in un’altra scuola.
Da quel momento Shoya incomincia a subire lo stesso trattamento da quelli che prima erano suoi amici, ed il venir bullizzato lo porta a chiudersi sempre di più, fino a che alle superiori non parla più con nessuno, del tutto chiuso, guardingo e rancoroso verso le altre persone. Infine decide di andare a trovare Shoko alla sua scuola, a cercare perdono…
–Inchiostratura
Già dalla premessa si può capire perchè attirò l’attenzione di vari festival cinematografici, visti i temi spinosi di bullismo e disabilità che sono raramente affrontati, specialmente nel caso del cinema d’animazione (giapponese o meno), e quando lo sono sono trattati con angolo comico, in ambito shonen (come Fujitora di One Piece che è cieco ma può evocare meteoriti), o comunque non realistico.
E sarò onesto, ero già felice di vedere finalmente fatto qualcosa di diverso con l’archetipo del bullo, qualcosa che non fosse il solito trito e stanco clichè, quello del bullo che serve per dare dramma da due lire alla storia, anche se non ce n’era bisogno, del conflitto sapido alla sceneggiatura nel terrore che il dramma principale non sia abbastanza efficace senza avere uno che viene nel mezzo solo per allungare la trama. Qui invece il bullo è il protagonista, che ci viene mostrato subito cresciuto, a gestire i primi passi di vita adulta, e poi ci vengono mostrati gli eventi che alle elementari lo hanno portato ad essere ostracizzato a sua volta.
Il timore maggiore che avevo era proprio nel personaggio di Shoya, perchè il rischio di cadere in clichè era alto, ma è invece caratterizzato molto bene, in maniera realistica, posso credere che fosse un ragazzino del genere, quasi ignaro delle conseguenze delle sue azioni, ed altrettanto realistica è la sua reazione a quanto vede che viene emarginato e bullato a sua volta, che lo porta a chiudersi in sé stesso ed a coltivare un misto di risentimento verso gli altri, di rigetto verso l’interazione umana, e di desiderio di amici che non riesce a credere di potersi meritare.
Certo, se l’ambientazione non fosse giapponese e questa non fosse cinema d’animazione, il bullo sarebbe stato più cattivo. Ma appunto, sono contento di non vedere un’altro archetipo del bullo tipico del cinema americano (e non solo), perchè non è che sia più realistico in quel modo.
Se il suo personaggio fosse stato scritto peggio, sarebbe stato difficile credere nella sua missione di “redenzione”, il suo tentativo di rimediare a qualcosa che ha fatto a Shoko ed alle altre persone del suo passato, incerto se abbia il diritto di chiedere perdono, se lo stia facendo solo per sentirsi a posto con la coscienza (per egoistica pace mentale) od intenda davvero quello che dice. Anche Shoya stesso è incerto e depresso all’idea che forse lo stia facendo solo per senso di dovere, non perchè intende davvero questa sua missione di riconciliazione con il passato, è divorato dal dubbio che forse non rimedierà mai ai suoi errori.
Anche gli altri personaggi sono a loro volta messi sotto accusa – anche da Shoya stesso in momenti di ira – , perchè non era il solo che bullava o che stava al gioco (anzi), e non tutti reagiscono in maniera perfetta quando confrontati sul passato. La cosa lodevole è anche personaggi che antagonizzano Shoya e Shoko non lo fanno solo perchè al film serve una forza antagonistica, ma perchè hanno delle loro ragioni e le dicono in modo che è realistico, che è credibile ed umano, perchè le relazioni sono complicate. Nessuno è lì solo per mettere i bastoni tra le ruote a Shoya senza nessun vero motivo dietro.
A questo proposito, la relazione tra Shoya e Shoko è molto ben costruita e sebbene il malandrino filo rosso sia sempre in agguato, nulla pare forzato, perchè come Shoya, anche Shoko vuole andare avanti, e non si aspettava certo che il suo ex-bullo principale (non il solo) venisse a cercare perdono e riconciliazione, avesse imparato il linguaggio dei segni apposta per parlare con lei, e come Shoya, teme di non riuscire nel cambiare sé stessa, che il passato sia tornato per ferirla di nuovo, e che sia colpa sua.
Non si cercano e considerano così solo per soddisfare il clichè romantico del “bruto pentito e la bella imperfetta & fragile”, ma perchè sono molto simili, ed hanno problemi di comunicazione, ironicamente la loro “romance” non è trattata come il traguardo principale, quello è diventare amici, cucire le ferite del passato del protagonista e di lei che ha ferito. Perchè realisticamente ci sono passaggi intermedi nelle relazioni tra esseri al carbonio 34.
La domanda elefantica è ovviamente quello sul tema della disabilità (sordità in questo caso), il fatto che Shoko è sorda quanto influisce sulla caratterizzazione? Non poco, perchè se lei non fosse stata sorda Shoya non l’avrebbe bullizzata, ma il film mostra bene come Shoko sia una persona invece di essere una mera presenza simbolica di “ragazza disabile”, e dalla mia poca esperienza con persone affette da sordità, credo che abbiano trattato il tema con rispetto e gusto, senza esagerarlo per effetto patetico.
Sebbene affronti temi come il suicidio ed il risentimento covato in anni, il film riesce a non essere mai troppo cupo o funereo. È triste, certo, ma ci sono anche diversi momenti comici assai divertenti che vi prenderanno di sorpresa (come il “Club Miao Miao”), e nonostante le cose terribili che succedono, la malinconia non prende mai il sopravvento, senza però che il film prenda per scontata una risoluzione felice, desiderata ma non dovuta.
I personaggi sono davvero ottimi, anche quelli che sembrano minori o che di solito risultano molto di comodo, come l’amico basso e tarchiato (e con un taglio di capelli che sfortunatamente fa molto Mineta di My Hero Academia), che sarebbe il personaggio comico, e riesce davvero bene a divertire , a controbilanciare la personalità introversa di Shoya con la sua esuberanza, oltre ad essere molto ben caratterizzato, genuinamente piacevole e comprensibile, e con il suo bagaglio drammatico. Non il tipico personaggio di comic relief.
I temi sono familiari (per lo più), ma trattati in maniera matura, come quello di comunicazione che non è solo un problema di Shoko (in quanto sorda e quindi con complicazioni a parlare che ne seguono), ma di chiunque, specialmente in quell’età, con cose mai dette, scuse mai fatte, rancori covati ed immutati dal tempo.

No, non è Mineta quello al centro. grazie al cielo.
E la regia è ottima, visto che non si dilunga troppo sugli eventi dei personaggi alle elementari, velocizzando molto all’inizio con un montaggio sulle note di… My Generation degli Who. Sì, sul serio. Mi sta bene, è che non me lo aspettavo, e sarei pronto a giurare che non c’era nella versione originale del film (che ha il titolo inglese a schermo “The shape of voice”, meglio quello usato dal manga). Ciò nonostante, la regia non si dilunga troppo nei segmenti flashback (che pure hanno una grande importanza), dove vi aspettereste di vedersi svolgere gran parte del film, che iniziasse con quello per accentuare più facilmente l’elemento patetico del dramma.
Naoko Yamada (la regista, ndr) inoltre dimostra un notabile gusto stilistico, come la predilezione per inquadrature di piedi dei personaggi, che fa eco all’insicurezza di Shoya nel guardare le persone negli occhi, nel suo rifuggere dal loro sguardo osservando per terra, ed il suo “guardare ma non vedere” reso con delle X sui volti dei suoi compagni, che non è subdolo ma efficace simbolismo diretto che racconta molto della visione di Shoya degli altri già da sé.
L’animazione potrebbe sembrare familiare ai più navigati, e sì, è curata dalla celebre Kyoto Animation, con il loro stile inconfondibile, ed un ottimo character design, dallo stile molto più realistico rispetto a lavori recenti come Miss Kobayashi’s Dragon Maid. A prescindere dall’opera adattata, è un piacere trovare anche qua la solita incredibile cura per l’animazione e l’accomodante aura che si trova nei loro lavori.
–Colpi di china
La Forma Della Voce non dovrebbe essere sottovalutato perchè sembra scegliere temi spinosi come il bullismo e la disabilità sonora per distinguersi nel panorama del cinema d’azione giapponese (o per “far gola ai critici”, come qualcuno sicuramente avrà pensato), con titoli acclamati che all’apparenza ritornano su stilemi stilistici triti. Voglio dire, quanti film d’animazione giapponese hanno i protagonisti vestiti con abiti scolastici nella locandina?
Ma andando sotto la superficie, il film di Naoko Yamada (basato sul manga A Silent Voice di Yoshitoki Oima) è davvero un film di incredibile delicatezza, uno che affronta i suoi temi con notevole maturità, senza elementi fantastici a salvare la situazione, con dei personaggi complessi dall’ottima caratterizzazione, che si districano da poco nella vita adulta e cercano di cucire ferite del passato, superare problemi irrisolti ed infine di comunicare davvero, di riuscire nel riallacciare il contatto con il mondo esterno, nel trovare amicizia, con tutte le complessità che derivano dalle relazioni tra persone, specialmente in questo periodo della vita.
Toccante, maturo, ma con un’aura solare che risplende nonostante tocchi tematiche sgradevoli, sempre accomodante senza affondare troppo nel malinconico o melenso, con un’animazione di qualità incredibile dalla celebre e celebrata Kyoto Animation, La Forma Della Voce è davvero un capolavoro (oserei dire anche meglio dell’ottimo Your Name, tanto se sbaglio me ne accorgerò e mi pentirò di averlo scritto, ma amen), e ricorda – nel caso ce ne fosse bisogno – che l’animazione giapponese non è celebrata solo per nostalgia, ma per lavori di questa qualità.