
No, non recensiamo i Jack Frost in questo numero, tranquilli.
Siamo ancora in inverno, il che significa film horror a tema che NON sono natalizi. Se fossi privo di qualsiasi immaginazione e creatività, questo sarebbe un numero sui numerosi film horror di merda a tema “yeti”, o “pupazzo di neve assassino” (ce ne sono almeno due, la serie horror di Jack Frost, da non confondere con l’omonimo e più terrificante film per famiglie), o squali della neve.
Ma siccome ho sempre meno voglia di infilare tutta la testa nella latrina del cinema horror (e se devo farlo, almeno per qualcosa la cui sinossi NON può essere presa così com’è e tranquillamente riusata per descrivere altri dieci film), stavolta diamo un’occhiata a horror invernali meno noti, uno dei quali molto, molto particolare e praticamente ignoto (raramente discusso anche nei siti di settore).
(E sì, c’era un film che potevo considerare se facevo il numero a tema “wendingo”, non una troiata di SyFy o similia, sarà per un’altra volta)
Prima di lasciarvi, ricordatevi la lezione che Finkle ci ha insegnato nell’amato classico di Bob Clark Una Storia Di Natale: non leccare in inverno, mai. Buona lettura!
Anno: 2010
Nazione: Stati Uniti
Durata: 1 ora e 25 minuti
Regia: Adam Green
A volte la sfiga ha la meglio, a prescindere da cosa fai. Perchè non bastò il fatto che questo uscì ben 3 anni prima dell’omonimo film d’animazione Disney, ma con titolo coincidentalmente identico, è facile capire come nessuno pensi all’horror-thiller di Adam Green quando viene nominato “Frozen”.
Stavolta il regista di Hatchet (una serie di slasher molto divertenti e godibili, con il quarto film – chiamato Victor Crowley – uscito l’anno scorso) ci porta su, sulle montagne, tra le nevi e le funivie, dando realtà ad una paura che molti sciatori avranno provato prima o poi: “e se la funivia si fermasse di punto in bianco?”.
Tre amici vanno a sciare sulle montagne del New England, e per un disguido di un operatore (che pensa altre tre persone fossero quelli dell’ultima corsa che gli aveva detto il collega), rimangono fermi sulla seggiovia, a penzolare sul vuoto di notte, con nessuno che gli può sentire od aiutare, gli impianti che non riapriranno il giorno dopo, costringendogli quindi trovare un modo per non morire assiderati sulla seggiovia, con il tempo e l’ambiente a loro sfavore.

Il cameo di Bubs che non ti aspetti.
É una premessa molto semplice, ma è anche una molto efficace e credibile, chiunque sia stato anche qualche volta a sciare si ricorderà – se non altro – dell’ansia che ha provato (almeno la prima volta) a sedersi sulle seggiovie e guardare in basso, confidando nell’arrivare a valle e non incontrare troppo da vicino quell’abete od il suolo ghiacciato da quell’altezza. Anche se non avete mai sciato, non è impossibile da immaginare.
Non c’è nessun colpo di scena soprannaturale (niente squali delle nevi, grazie al cielo), e per un film che spende gran parte del suo tempo in un singolo scenario (una seggiola di una seggiovia), riesce a non essere mai noioso, anche quando molto del film (specialmente da quando rimangono bloccati) è composto di loro che parlano. Sì, succedono anche cose violente ed orrorifiche, con del buon gore fatto via effetti speciali pratici, ma anche causa il fatto che i personaggi non sono stupidi, capiscono che non conviene scendere da quell’altezza e discutono cercando (tra le altre cose) di capire come uscirne vivi.
Spettatori navigati potrebbero prendere quanto detto sopra in senso negativo, visto che l’idea di spendere molto tempo con i personaggi/vittime di un film horror da sé non è eccitante, ma Adam Green (che oltre a dirigere ha scritto la sceneggiatura) è riuscito a creare un terzetto di protagonisti che NON sono i soliti archetipi horror confezionati per essere macellati dal killer di turno. Non aspettatevi tonnellate di gore, comunque.
Sì, è una caratterizzazione che ricorda i vecchi slasher scolastici (il che ha senso visto che i ragazzi sono studenti universitari, sebbene questo non abbia importanza per la trama), ma è una buona caratterizzazione di genere, perchè non sempre le “vittime” sono stronzi che se lo meritano, e di fatti sono solo ragazzi un po’ furbetti ma tutt’altro che malintenzionati o teste di cazzo per necessità di avere conflitto e farvi dispiacere di meno quando muoiono.
Non sempre il dramma è perfetto, ma è scritto bene quanto basta da farvi importare del loro destino, anche se non è chiarissimo perchè mai decidono di andare in vacanza assieme lui, la sua fidanzata e l’amico di lui. E no, non è un clone invecchiato di un giovane Zac Efron quello che vedete, ma il canadese Kevin Zegers, che era anche nel remake del 2004 di Dawn Of The Dead, ed in Air Bud. Che carriera strana. Il resto del trino cast è composto da Emma Bell (Amy nella prima stagione di The Walking Dead, Final Destination 5) e da Shawn Ashmore (Iceman nella serie filmica di X-Men, Animorphs).
L’unico problema è che una storia con premessa semplice ed eseguita bene, ma non particolarmente memorabile, il che è frustrante, perchè questo è un buon film, ma non è così buono e con scene così incredibili che vi rimarranno nella testa. Non c’è nessun “tweest” finale che fa sequel bait per un seguito che non aveva senso (visto che non c’è un killer, mascherato o meno).
Commento Finale
Povero Adam Green, che scelse un’appropriato ma sfortunato nome per il suo horror thriller a tema “sopravvivenza sulle nevi”, ignaro del fatto che un film animato Disney qualche anno dopo avrebbe letteralmente sepolto qualsiasi riferimento e ricerca fortuita del suo film a causa dell’omonimia.
Ma non dovrebbe essere ignorato, perchè è sorprendentemente ben fatto, con una premessa molto semplice (tre tizi fermi su una seggiovia ferma a metà percorso, dondolanti nel vuoto e sferzati dal gelo che devono cercare di sopravvivere) ma ben eseguita, che non fa affatto pesare come molto del film si svolga in un unico scenario e veda i personaggi parlare tra di loro più che buttarsi a morire per soddisfare arbitrari livelli di gore (comunque presente, fatto con mezzi pratici e di buona qualità).
Questo anche grazie a personaggi scritti sì come in molto horror di genere (specialmente quello scolastico, in questo caso), ma caratterizzati bene e non meri clichè incarnati per essere giustiziati dall’assassino seriale impazzito con mannaia e maschera di turno, non che ci sia bisogno di questo quando il freddo ed il gelo da soli possono fare abbastanza notabili (e gustosamente grafici) danni al corpo umano.

Ci sono modi migliori di sfatare il mito delle “mani pelose”, ma…
Gli unici problemi consistono nel fatto che non tutti i dialoghi sono sempre fantastici, e che per quanto la trama sia semplice (che non vuol dire blanda) ed eseguita molto bene, senza assurdità improbabili (ciao, eccessivo numero di shark movies con “squali della neve”) o sequel bait per amore di sequel bait, non è un film definibile memorabile,che ricorderete per sempre.
Un peccato, perchè sebbene ci sia di meglio nel genere, Frozen di Adam Green è un buon film che merita almeno un’occhiata.
Anno: 1999
Titoli Alternativi: L’Insaziabile
Nazione: Stati Uniti, Repubblica Ceca, Regno Unito, Slovacchia
Durata: 1 ora e 33 minuti
Regia: Antonia Bird
Invece del solito slasher di merda su uno Yeti assassino (costume o CG non importa), parliamo di qualcosina di più interessante, ovvero di Ravenous (divenuto L’Insaziabile nelle versioni home video italiane, almeno in quella 20th Centhury Fox su cui mi baso per la recensione), l’unico western-horror- commedia nera sul cannibalismo di cui sono a conoscenza, il quale è tecnicamente anche un film di guerra.
Sì, il tutto inizia durante la Guerra Messicano-Americana (1846-1848), con il sottotenente Boyd che ha un bel colpo di vigliaccheria e decide di fingersi morto, vedendo decimato il suo plotone. Una volta accortisi che non arriverà Michael Palin, i messicani raccolgono i cadaveri e gli mettono su un carro (da soli) che portano al loro quartier generale. Lì Boyd, in un atto di coraggio inaspettato, coglie l’occasione per catturare il quartier generale dei messicani.
Ciò lo fa promuovere a Capitano, ma quando si scopre che è riuscito a far ciò solo perchè fu estremamente vigliacco, viene esiliato a Fort Spencer, un remoto avanposto nella gelida Sierra Nevada (che è davvero parte della California, a mia sorpresa).
Lì viene avvicinato da uno straniero di nome Colqhoun, che gli racconta di come il loro vagone si è perduto tra le montagne, consigliato a fare una strada più corta da un certo colonnello Ives, ma il percorso si è rivelato più lungo del previsto, con la neve ad ostruire la strada e le persone ridotte al cannibalismo per evitare di morir di fame. Viene preparata una squadra di soccorsi per cercare sopravvissuti, ma prima di partire George, la loro vedetta nativo americana, gli racconta il mito del Wendingo: chiunque consumi la carne del suo nemico ne ottiene la forza ma è condannato a diventare un demone con un insaziabile appetito per altra carne umana.
Se sembra interessante…. è perchè lo è! Anche se non è quello che mi aspettavo, o che probabilmente vi aspettavate, meglio renderlo chiaro subito. In primis, non aspettatevi un gorefest, sì, è un film sul cannibalismo (cosa che non cerca affatto di nascondere, anzi fin da subito vi vuole far pensare ad esso), quindi violento lo è, non dubitate, c’è sangue, ma non vi aspettate continui secchi di effetti speciali, o di vedere un tizio in un costume da yeti (o da gorilla delle nevi, se per quello) strappare braccia ad un malcapitato e magari uccidere qualcuno con l’arto dell’amico.
Non è semplicemente quel tipo di film horror, ed in generale è un film atipico, sotto molti aspetti. Anche se pensate di aver capito dove andrà a parare, la sceneggiatura di Ravenous vi prenderà di sorpresa in almeno due punti, e vi portera in una delle situazioni più originali che abbia visto in un film su questo tema, che ovviamente non vi racconterò. Una cosa che vi posso dire è che il film spende pochissimo tempo a parlare del la guerra messicano-americana, forse troppo poco, visto che non si capisce davvero (anche grazie al montaggio) come Boyd sia riuscito a compiere la sua impresa.
E questo è uno dei problemi maggiori del film, ovvero il montaggio in alcune scene, specialmente (ma non solo) una in cui si passa continuamente di campo in controcampo tra i personaggi, capisco il voler comunicare la loro paura e nervi tesi, ma risulta un po’ confusionario e strano (grazie soprattutto alla velocità del montaggio), come la recitazione dei personaggi (uno, in particolare) in una precisa scena. Non è brutto, è solo strano ed un po’ confusionario, non un problema che rovina il film, di sicuro.
Di sicuro non è peggiore di come il film sembri procedere in maniera assai rapida su qualcosa che magari era meglio sviluppare di più, visto che così le azioni di un personaggio sembrano un po’ forzato dal voler arrivare al climax. A questo proposito, sebbene mi secchi dirlo visto che il film ha valida conclusione definitiva, c’è una sorta di buco di trama, di cui non posso parlare per motivi di spoiler. Non un problema enorme, comunque, ma mi chiedo se quella scena fosse stata messa in previsione di un finale diverso, magari con sequel bait, perchè nella versione finale c’è una conclusione definitiva della vicenda.
I personaggi sono sorprendentemente gradevoli, a parte Boyd (a dir poco traumatizzato dalla sua codardia e cambiato dall’esperienza peculiare che ha vissuto), i “ragazzi” del forte sono gruppo di variegati strambi, di allegri reietti, dal giovale colonnello Hart che passa le sue giornate a leggere, al prete con inclinazioni musicali, la testa calda che sprizza voglia di menare le mani, il tipico nativo americano del gruppo (chiamato George), ed un soldato amante del peyote (e dei bagordi).
Non sono caratterizzazioni da premio, capite quasi subito che tipo di personaggio sono, ma sono ben recitati e nessuno è odiabile o mal scritto, non che importi visto che questo -alla fine – è un film horror, non c’è molto tempo per dare archi narrativi a tutti, o motivo, specialmente se poi qualcuno deve tirare il calzone.
Sebbene ero incerto se concordare o meno sul definire questa anche una black comedy, sì, decisamente si merita di essere chiamata cosa, con diverse battute sul cannibalismo e diverso umorismo nero, e c’è anche un po’ di buona satira al western stesso, al mito della “terra di frontiera”, contro la tipica atmosfera auto-celebratoria, di destino manifesto che c’è nei western, in cui gli americani sono sempre eroi, la loro missione è indiscutibilmente quella eroica e giusta.
E poi Ravenous è un film che inizia con questo screenshot:
Mettendo da parte la satira, risulta comica la musica, composta da Michael Nyman assieme a Damon Albarn, sì, “il tizio dei Gorillaz”, ed è anche buona, ma è strana (a tratti un po’ irritante) ed in alcuni frangenti ci sta quasi, ma finisce per risultare un po’ fuori posto, oltre ai momenti in cui è appositamente usata per stonare con la scena drammatica, con il sound gioiosamente country ed il retrogusto al bourbon. Decisamente NON una colonna sonora che si dimentica.
Ravenous ha anche un buon cast con nomi che riconoscerete, primo tra tutti Guy Pearce nei panni del protagonista Boyd, ma c’è anche Robert Carlyle (Trainspotting, tra le altre cose) nei panni del carismatico antagonista, David Arquette (che nel 2015 reciterà in Bone Tomahawk, su un simile argomento e tema), Stephen Spinella (Milk, Rubberanche Jeffrey Jones (Ed Wood, Amadeus, Una Pazza Giornata di Vacanza/Ferris Bueller’s Day Off, ed anche in Howard The Duck, per qualche motivo). Ottimo cast per un film horror nel complesso poco ricordato, di solito recensisco film con cast senza neanche la piastrina identificativa, non sono abituato ad attori noti e di un certo calibro (chi più o chi meno) riuniti per un film sul cannibalismo.
Commento Finale
Ravenous se descritto, può sembrare un film le cui parti non dovrebbero poter stare assieme, essendo questo non solo un film di sopravvivenza ambientato durante l’espansione americana verso Ovest, uno che prende note dal noto Alive- Sopravvissuti (e più appropriatamente dal famoso caso della Spedizione Donner), ma è anche un film horror sulla leggenda nativo americana del Wendingo, con molto umorismo nero – soprattutto sul cannibalismo, il tema portante – ed anche un po’ di riuscita satira al western. E la bizzarra (ma decisamente valida) colonna sonora è composta da Micheal Nyman e Damon Albarn, sì, lui.
Il film di Antonia Bird riesce a giostrare molto bene le sue varie anime, con una trama interessante che riserva non poche sorprese, il tutto con un cast composto di volti sorprendemente noti ed abili come Guy Pearce, Jeffrey Jones, Robert Carlyle (il che mi prende in contropiede, vista come ho diversa robaccia horror in cui neanche la madre riconosce il cast), buoni effetti speciali, e personaggi gradevoli anche se non tutti caratterizzati con la stessa cura.
Un buon film che però ha alcuni singhiozzi di regia, con scene in cui il montaggio, la musica e le recitazioni rendono strano e/o confusionario il tutto (in un film che è già strano di suo), e dei minori problemi di pacing verso la fine, assieme ad un design sonoro non sempre all’altezza.
Non è perfetto, non è sempre buono nella sua stranezza (e decisamente non subdolo in certi momenti), ma anche con i suoi difetti meriterebbe di essere più noto, di essere (paradossalmente) un film di culto portato più in discussione, ma d’altronde non tutti i giorni escono film horror-western-black comedy sul cannibalismo. Vale decisamente la pena recuperarlo in DVD se cercate un film horror originale E ben fatto.