Gli anni 70 sono finiti, e Romero ha già lanciato nelle sale il film che consacrerà la figura del suo non-morto (oltre alla sua), con l’amatissimo e celebrato Dawn of The Dead, la cui storia di titoli alternativi e montaggi diversi per l’europa permise a registi nostrani di costruire un’intera serie parassitica, di cui parlai in passato e di cui parlerò più avanti, al momento giusto.
A riprova di come la filmografia di Romero sia molto variegata (di sicuro più variegata di quanto molti credano), nel 1981 tornammo ai tempi di Camelot con Knightriders (in italia appropriatamente chiamato “I Cavalieri”), ovvero la storia di un gruppo di bikers che vive secondo il codice cavalleresco, di fatto un gruppo di performers in stile fiera rinascimentale, con una gerarchia che ricorda quella delle antiche leggende, di re e regine, di tenzoni combattute in tornei con lancia ed il moderno cavallo.
È una storia post-hippy generation, in cui questo gruppo di sognatori cerca di tenere vivo lo spirito dell’epoca cavalleresca, il mito di Artù ed affini leggende narrate nel ciclo bretone, ma si scontra contro la realtà dell’epoca, in una decade che aveva già sepolto il movimento giovanile di ribellione e lo status quo aveva abbracciato il modello capitalistico a piene mani, tutto in nome del business e per il business.
Dovendolo descrivere in pochi paragoni stile “citazione per la copertina”, è basicamente Road Rash incontra Re Artù, via Easy Rider. Dopo questo incredibile pepito di critica, torniamo alla recensione.
Sì, Knightriders è di fatto la lotta tra il mondo degli affari di allora ed il credo romantico-cavalleresco di Bill Davis (interpretato da Ed Harris), il capo del gruppo, il Re Artù che tiene assieme il gruppo, che però pecca proprio per la sua inflessibile dedizione a quello che è uno stile di vita in nome di onore e lealtà, non una mascherata per amor di spettacolo, proprio quello per cui altri lo hanno seguito, ed il motivo stesso per cui molti decidono di lasciarlo, quando difficoltà economiche e l’arrivo di un promoter (italiano, ovviamente) seduce vari “cavalieri” a commercializzare la loro performance.
Il mondo purtroppo non funziona su alti ideali, come presto si accorge Bill, mentre vede poliziotti corrotti chiedere mazzette, ed le diatribe intestine che si accendono proprio per un’azione compiuta da lui, che innavvertimamente da inizio al disfarsi dei Cavalieri stessi. Ma in questo senso, è uno dei film più positivi di Romero, ampiamente (specialmente paragonato a molti altri, è uno dei più speranzosi e felici), ed uno dei più accessibili ed immediatamente godibili – più canonici, se volete-, anche perchè c’è un sacco d’azione, ed il film non perde tempo a darvi pugne a colpi di lancia, mazza e Harley Davidson.
Decisamente uno dei film di Romero con maggior budget, visto che – come potete immaginare – molto del film è composto da combattimenti in moto, con armature medioevali, mazze, che sono assai divertenti e godibili da vedere, ancor più perchè quando qualcuno viene colpito da una lancia o disarcionato a mezz’aria, “sentite” l’impatto, lo stuntwork è ottimo e la resa delle varie lotte ed incidenti è molto fisica. Ed il fatto che c’è intera fiera rinascimentale attorno al torneo dei cavalieri rende il tutto molto caratteristico, e direi magico, ma mi dovrei tirare un cazzotto da solo. (procedo)
Una cosa che forse non potevate prevedere è la durata: poco meno di 2 ore e ½. Fu inizialmente distribuito in Europa con 40 minuti tagliati, ma la versione italiana su DVD, chiamata “I Cavalieri”, contiene il film in versione integrale, anche se non si presero la briga di doppiare le scene mancanti e riaggiunte, visto che spesso il doppiaggio italiano si sostituisce a quello originale con sottotitoli, a volte anche durante la stessa sequenza. Mi lamenterei di più di questo e del fatto che non ha extra (a meno che non vogliate considerare “seleziona scene” un’extra, manco un trailer) se non mi fosse costato 4 euro nuovo su amazon.
Sì, Knightriders è un film bello lungo, il che non è un problema (al contrario di Season Of The Witch/Hungry Wives, che avrei preferito più corto, in ulteriore retrospettiva), visto che molto di questo tempo è speso ad esplorare il dramma dei vari personaggi, ci sono anche diversi momenti comici, ma l’enfasi è soprattutto sui personaggi, sui vari Cavalieri, che vengono tutti ben caratterizzati ed i loro archi narrativi sviluppati. Anche se questo significa trovarvi in scene con personaggi che non sapete bene chi siano (a meno che non vi ricordiate la loro brevissima menzione a voce), ci sono momenti così in cui non siete subito sicuri di chi siano questi tizi con cui parlano i Cavalieri.
Nel cast c’è anche Tom Savini in uno dei suoi ruoli attoriali meno usa-e-getta, anche se non sorprende che faccia il Morgan Le Fey del gruppo, il secondo in comanda arrogante ed a volte un po’ stronzo, ma anche molto simpatico e gradevole, come il resto dei Cavalieri, un gruppo affiatato e variegato, che comprende (oltre al già citato Ed Harris, che poi ritornerà a lavorare con Romero nel successivo Creepshow) un altro attore ben noto ai fan di Romero, ovvero Ken Foree, che è un figo come sempre, anche nel ruolo minore di Little John che ha qui. Presente anche John Amplas (fatto debuttare da Romero in Martin/Wampyr), qui nel ruolo silenzioso di un saltimbanco in maschera facciale bianca.
Uno dei maggiori problemi è la sotto-trama della profezia: ad inizio film Bill sogna un merlo, e come racconta a Merlino, è un sogno ricorrente, che ritiene essere un presagio nefasto, o comunque un messaggio del destino. La cosa si concretizza quando viene sfidato da un misterioso indiano, la cui armatura reca l’effigie di un merlo. A questo punto vi aspettate che la sceneggiatura ci faccia qualcosa, ma no, l’indiano semplicemente resta con loro e segue ovunque Bill/Artù. Non ha neanche una singola battuta. Capisco la sua funzione narrativa (è la goccia che fa scoppiare Bill, il quale non riesce a mantenere il gruppo unito), ma non c’è un personaggio “attaccato” all’attore.
L’altro problema che ho con il film è pressapoco… tutto negli ultimi 10/15 minuti, in cui Bill sembra vagare senza meta, ma no, sta andando a vendicarsi del poliziotto corrotto, che trova comodamente in un McDonalds e lì e lo picchia e scaraventa per tutto il locale, mentre la gente lo applaude ed incita. (come faceva a sapere che quel poliziotto specifico era lì?) Per carità, è una scena catartica, vindicatoria, ma è eccessiva in un film che aveva già celebrato i valori di onore e lealtà, sui quali le seduzioni commerciali non avevano vinto. E diventa ancora più ridicolo/eccessivo dopo, prima della conclusione vera e propria, in tono con lo spirito cavalleresco celebrato fino ad allora.
Romero in questa sua storia celebrante il senso del gruppo e dell’unità che vince sulla seduzione dei facili guadagni, non si limita a criticare i vari viscidi uomini d’affari ed il “vendersi”, ma anche il pubblico stesso degli spettacoli: stupidi, spesso luridi, ubriachi, molesti, lì per ubriacarsi e fogarsi con le lotte, come moderni romani al circo. E non c’entra niente, ma uno degli spettatori sembra una versione ancora più terricola del personaggio di Stephen King in Creepshow.
Commento Finale
Knightriders è decisamente il film più anomalo della carriera di Romero, non solo per il cambio di genere (azione-drammatico) ed il soggetto che vede un gruppo di motociclisti-hippy che si rifà alle leggende arturiane, e si sposta nel Midwest americano, come una fiera rinascimentale in cui le giostre sono combattute da moderni cavalieri, che lottano e vivono per gli ideali cavallereschi di onore e lealtà.
È una romantica storia che celebra l’unità del gruppo, tentato da minacce esterne e seduzioni che il mercato dell’intrattenimento portano al nomade gruppo di performers, che viene frammentato dall’intransigente fiducia ed orgoglio del loro nel codice di vita, da lui incarnato senza dubbio, anche di fronte a difficoltà economiche ed astio tra i membri della sua Tavola Rotonda, covato e pronto ad esplodere in momenti in cui la fiducia nel sovrano cala, con molta enfasi sul dramma e sui combattimenti a bordo di moto e sidecar, i quali hanno una buona sensazione fisica grazie all’ottimo stuntwork. Decisamente il film più prettamente spettacolare e subito accessibile del regista.
Peccato che sia anche uno dei più lunghi, visto che sfiora le 2 ore e mezzo, cosa che pesa sulla narrazione, nonostante questo tempo sia impiegato per ben delineare i personaggi del gruppo, donandogli archi narrativi completi, il che significa vedere anche scene in cui non è subito chiaro perchè i protagonisti stiano parlando con persone mai viste prima (solo accennate rapidamente). Ma è un gruppo affiatato e variegato, e nel cast ci sono diversi attori-simbolo di Romero, come John Amplas, Ken Foree, e Tom Savini, qui con una parte tutt’altro che minore.
L’altro problema è che il film esagera un po’ tanto nel finale, che si ha scene soddisfacenti e vindicatorie, ma è quasi ingenuo nel modo in cui risolve questioni lasciate in sospeso, ed odio definire qualcosa come “ottimistico fino alla nausea”, visto che non ogni storia post-’68 deve essere nichilistica o comtemplare con rammarico ideali falliti. Ma anche io ho trovato la scena della lotta nel MC Donalds un po’ troppo esagerata (ridicola, sotto molti aspetti), e la sceneggiatura ha qualche problema.
Anche se non perfetto, Knightriders si conclude in maniera consona ai racconti cavallereschi che rievoca, con grandi gioie, grandi imprese, ed una mestizia che suggella la leggenda nella via per Avalon. Ed in una filmografia come quella di Romero, può esistere eccome una storia positiva, senza rammarichi sui problemi sociali e la comprovata fallibilità umana, ma che celebra una visione forse ingenua (tanto impossibilmente romantica), ma felice.