Un altro film horror uscito anni fa che solo ora arriva nelle sale italiane, come parte dell’offerta horror estiva. Ed uno basato sull’omonimo corto del 2015 del regista norvegese Lars Klevberg.
Di per sé la mutazione/metamorfosi di un progetto inteso come cortometraggio in lungometraggio non è brutto (o buon) presagio, né è particolarmente rara, ma tenendo questo in mente, non sorprende che il risultato sappia un po’ del classico brodo allungato, ma d’altro canto se non mi fosse stato detto ciò, non l’avrei notato subito.
La trama è una tipica storia di oggetti maledetti, una dal gusto di inizio 2000 (in più di un senso) ma che ha motivo di essere ambientata in uno scenario, poiché verte su un vecchio modello di fotocamera Polaroid, ottenuto dalla timida protagonista Sarah, fotografa in erba e futura studente di giornalismo, grazie al suo lavorare in negozio di antiquariato. La macchina fotografica infatti presenta una “macchia” di forma umana su ogni foto che produce, ed i soggetti delle foto incominciano a venire uccisi in maniera misteriosa, costringendo Sarah ed i suoi amici a cercarne di venire a capo prima che sia il loro turno.
Ed è…. molto nella media. Ha i suoi momenti buoni (come un buon, buon jumpscare), recitazioni decenti, c’è un po’ di creatività nella creatura (mostri basati sulla fotografia sono assai rari), ma ci sono altrettanti momenti clichè e stupidotti, personaggi abbastanza stereotipati, c’è una quasi comica ed una sceneggiatura che ha qualcosina in più del previsto… che però sembra messa lì per tirare per le lunghe il tutto. Non che sia un film lungo, anzi, ma nonostante ciò è comunque scorrevole e la risoluzione finale pare abbastanza conclusiva.
Polaroid è un film horror molto standard, servizievole ma non memorabile. Ho visto molto peggio, e molto meglio. Decisamente guardabile, se non altro.