Regia: Konosuke Uda
Sceneggiatura: Masahiro Ito
Titolo Internazionale: One Piece: Giant Mecha Soldier Of Karakuri Castle
Durata: 1 ora e 32 minuti
Storia Originale: Sì
Corto allegato: Nessuno
Probabilmente colpiti dalla ricezione critica assai mista per l’Isola Del Barone Omatsuri (più che per l’incasso, visto poi che questo si comportò leggermente peggio al box office nipponico, almeno per la permanenza nella Top 10 di incassi del periodo), per il film successivo la Toei decise di giocare più sul sicuro, tornando al tradizionale stile di animazione e con una storia più tipica per One Piece in tono e temi (sebbene anche questa scritta da Masahiro Ito), rimettendo al timone il regista di One Piece: Trappola Mortale, Konosuke Uda.
Il che…. va bene, ma boh, pure con i vari – e non sempre piccoli – problemi che aveva L’Isola Segreta Del Barone Omatsuri, era qualcosa di più interessante, e la sensazione di aver fatto una sorta di passo indietro, beh, è assai giustificata. Ancor più perchè pare chiaro che una delle direttive principali del film fosse “zinne”, presumo la serie tv avesse iniziato da poco a colpire Nami e Robin con una pompa da bici… nelle tette, figurativamente.
Non sarei sorpreso, ma questo “gonfiamento” improvviso rispetto al precedente film (smisi di seguire la serie tv prima che accadde… il “PLOT”, mettiamola così) non è neanche fatto e basta, no, è impossibile (soprattutto nel primo atto) NON notare le zinne, sia per la fotografia che si mette ad usare un dutch angle solo per meglio evidenziare la mammello-munizione, e come le suddette sise spesso rimbalzano in maniera random, a volte sì per effetto del movimento del corpo, altre… perchè gli animatori volevano (o dovevano) farlo.
Senza parlare della scena del buffet al castello che esiste per far indossare scollati vestiti da sera in prima, e poi per stabilire alcune cose utili alla trama.
Perchè sto parlando di zinne disegnate invece che della storia? Perchè è assai blanda, con la ciurma che ha recuperato uno scrigno, ma invece di un tesoro, trova al suo interno una vecchia con bigodini, che gli chiede di riportarla sulla sua isola, dove si dice sia nascosta la Corona D’Oro. Una volta lì però i Cappello Di Paglia scoprono che è più una leggenda tramandata via una canzone popolare, e vengono attaccati dal sistema di difesa dell’isola, con macchinari e marchingegni che si notano eccome, nella loro estraneità su un’isola la cui popolazione vive ancora principalmente di pesca e raccolta.
Ferma lì, la ciurma prova a decifrare l’enigma nascosto nella canzone, e con Luffy che inavvertitamente scopre una grotta segreta, vengono avvicinati dal capo isola, l’inventore genio Ratchet (ed i suoi sottoposti), che gli invita al suo castello per cessare le ostilità e collaborare nella risoluzione del mistero e fare “cinquanta e cinquanta” con il tesoro.
Robot ed ovvi sviluppi narrativi seguono.
I Misteri Dell’Isola Meccanica è decisamente un ritorno ad un più familiare e tipico lungometraggio di One Piece, uno più di avventura che di azione (decente/buona, ma quasi tutta nell’atto finale), al punto che è ambientato – apparentemente – dopo Skypiea (e vede ritornare il Waver), forse la saga più indegnamente sottovalutata della serie, un ritorno al tradizionale stile di animazione e disegni con una qualità più consistente, anche all’avere le classiche “accoppiate” di nemici che combattono con i designati/appropriati membri dei Cappello Di Paglia, un tono molto più leggero, et etc.
Purtroppo la trama è un po’ esile, e la sceneggiatura poco ispirata, con molti degli indizi e misteri risolti per lo più grazie ad un eccessivamente fortuito cazzeggiare di Luffy, o clichè di genere come la natura dell’Isola Meccanica (alla quale non si può arrivare via Eternal Pose, per motivi logici ma che eviterò di spoilerare), una scena in un trash compactor, o l’obiettivo di Ratchet, che sì, è conquistare il mondo usando i suoi robot. Seriamente quello è la motivazione che lo guida, non c’è nessun passato tragico da raccontare via flashback riguardante lui o la sua famiglia (nonostante il set up lo permettesse), ma non è l’unico plot point che esiste per semplice funzionalità narrativa, senza però essere rilevanti durante la risoluzione dell’intreccio.
D’altro canto, aiuta che Ratchet sia un villain goffo, uno più comico che temibile (di nuovo, in tradizione per One Piece), ma non un il solito clown o idiota, solo un educato ma megalomane inventore con grande abilità nel creare macchine e robot, raffinato ma anche un po’ imbranato a causa della sua eccessiva confidenza in sé stesso e nelle sue creazioni. Il suo design è più originale del previsto, visto che non è quel clichè del meccanico/inventore con barba, olio sul volto o corpo e look generalmente rozzo, piuttosto sembra uno scienziato twink con salopette da meccanico, ma altrimenti non è nulla di memorabile, per niente.
E devo dire, mi piace il design “giocattoloso” dei vari robot, si sposa bene al tono generale poco serio, con tanto di un diretto riferimento in dialogo a Tetjsuin 28/Gigantor di Mitsuteru Yokoyama, ed una maggiore enfasi sulle gag, che sarebbe gradita se l’humour fosse migliore, ma invece rimesta nel solito materiale della serie (Nami infuriata per come Luffy faccia sempre di testa sua, Zoro e Sanji che si bisticciano come bambini), a volte con risultati decenti, ma per lo più… mediocri, non offensivi, ma ho apprezzato molto più il modo rilassato in cui L’Isola Segreta Del Barone Omatsuri gestiva la comicità, mentre qui l’approccio è molto aggressivo, si vede che cerca di farvi ridere ad ogni opportunità che ha.
Dopo un esperimento coraggioso e degno di nota – nonostante i suoi difetti – si torna in territorio più tipico, nella zona comfort per questa serie, con One Piece: I Misteri Dell’Isola Meccanica, un film che…ha di nuovo Masahiro Ito alla sceneggiatura, cosa che ribadisco perchè stavolta non si nota per niente il suo coinvolgimento, presumo per richieste assai chiare della produzione a non tentare cose troppo fuori dai binari di One Piece.
O fuori da qualsiasi binario sicuro, con un’animazione in stile, tono e qualità previsti per un film di One Piece, ma la sceneggiatura non è granchè, strutturata su clichè non particolarmente entusiasmanti, sia per la comicità che per lo sviluppo narrativo della – tutto considerato – assai semplice trama, sia per i personaggi, specialmente il cattivo, Ratchet, che – senza iperbole di sorta – vuole conquistare il mondo, senza nessuna motivazione tragica o spessore di vario tipo accollata al tutto, il che ha senso visto che è uno di quei cattivi più ridicoli che altro (al punto che in un altro film sarebbe rivelato essere il secondo in comanda dopo averlo creduto il boss nemico), e la storia non si prende davvero davvero sul serio.
Se non altro la regia di Konosuke Uda (già regista di One Piece: Trappola Mortale) è decente, e dà il suo meglio nelle divertenti scene d’azione che usano discretamente il set-up offerto dalla premessa, purtroppo non sono moltissime, con l’enfasi messa sull’avventura più che sui combattimenti od inseguimenti, tanto da far rispolverare qualche vecchio aggeggio preso dai Cappello Di Paglia a Skypiea.
Gradevole, sebbene sul dimenticabile poiché totalmente formulaico, senza nulla di incredibile per compensare il fin troppo familiare sviluppo narrativo… a meno che non vogliate contare le sise dei personaggi femminili (non tutti) gonfiate a volumi notevoli e dotate di fisica non sempre coerente, cose che (oltre ad aver ricevuto più cure di molte altri aspetti) la fotografia fa sì che non possiate ignorare in alcun modo, come se la produzione si fosse ricordata solo a sto giro di passare la pompa della bici a Nami e Robin, per quel tocco di sessualizzazione extra utile ad attirare le arrapate pupille del target di pubblico prediletto.
Una risposta a "[Retrospettiva One Piece] #7: I Misteri Dell’Isola Meccanica (2006)"