GRIND CAFE R #1: The Black Cat (Il Gatto Nero) (1981)

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Anno: 1981
Nazione: Italia
Durata: 1 ora e 32 minuti
Regia: Lucio Fulci

Se siete fan del cinema horror, Lucio Fulci non necessita nessuna presentazione, e quindi non ve la farò. Ma per questo nuovo inizio, ho deciso di fare uno dei suoi film meno considerati, in un certo senso uno dei più atipici per l’amato regista italiano, dallo stile inconfondibile anche quando non coinvolto in film horror su zombi o gialli violenti.

E d’altronde anche la storia stessa non necessita molte presentazioni, essendo “Il Gatto Nero” uno dei racconti più noti di Edgar Allan Poe, adattato innumerevoli volte, tra cui per il segmento di Dario Argento di Due Occhi Diabolici del 1990.

Anche se adattamento sembra essere  una parola un po’ grossa, visto che il soggetto di Biagio Progetti (il quale cura anche la sceneggiatura) prende la storia di Poe come mero spunto, in quanto qui abbiamo un ex professore del paranormale, Robert Miles (interpretato da Patrick Magee, qui nel suo penultimo ruolo cinematografico) che può comunicare con i morti e controllare la mente del suo gatto nero, nonostante il felino covi un profondo odio per il suo padrone. Una fotografa, assieme ad un poliziotto locale ed uno di Scotland Yard (non Bloch) investigano, cercando il mistero dietro i recenti omicidi dove è stato avvistato un gatto nero.

Nonostante il film subito sfoderi la dicitura “liberamente tratto dal racconto di Edgar Allan Poe” nei crediti iniziali, ed in essenza sembri più una storia da Dylan Dog, con il professor Miles che usa il gatto come uno slasher villain in remoto con i polpastrelli morbidosi (e tanto di POV del gatto mentre si avvicina alle sue future vittime)… non è esattamente così. La sceneggiatura di Biagio Proietti (scritta assieme a Fulci) è più fedele del previsto alla storia di Poe, con le scene madri del racconto che vengono adattate con pochi cambiamenti, cosa non ovvia visto quanto è altrimenti diversa la trama e come il gatto sia parte attiva di essa, non solo simbolo del male nato da un antico immaginario di superstizione.

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Evil “blep”.

Gatto maligno, ma sempre un gatto, quindi agisce in maniera per lo più indiretta per uccidere le sue vittime, dotato anche di poteri ipnotici, cosa che rende la scena iniziale (in cui non sapete nulla di specifico sul mefistofelico micio) un po’ goffa a primo impatto. Ma appunto, è un gatto speciale, dotato di abilità di teletrasporto via concessione del montatore, e della capacità di aprire porte sbarrata con pezzi di legno girando la serratura. Un supertelegattone, se volete.

Questo significa inoltre che non dovete aspettarvi il copioso gore o la tipica violenza verso i bulbi oculari (e non) per cui è spesso ricordato Fulci, che qui gioca per lo più su atmosfera e regia che su povere attrici assalite da orde di ragni veri o messe in casse chiuse SENZA previo avviso. Non un problema visto che Fulci non era Fragasso o Mattei, nonostante il fatto che sia associato a loro per vari motivi che potrebbe portare ad accomunargli – assai erroneamente – anche a capacità registiche.

Alcune critiche lo descrivono come un esercizio di stile e poco di più, e sebbene non sia del tutto concorde, effettivamente lo stile registico di Fulci è messo in primo piano, pure troppo (semi-cit), con un uso di primi piani all’italiana quasi maggiore a quello di un western, il che è ironico, considerato come il suo I Quattro Dell’Apocalisse (uno dei western più cruenti di sempre), servì anche da “bozza preparatoria” per il suo futuro debutto nel cinema dell’orrore.
E qui di gore giusto una goccia e qualche cadavere neanche troppo menomato.

Ma di nuovo, questa deliberata assenza di particolare violenza grafica, budella sul muro, o momenti assai granguignoleschi è un ulteriore testamento all’abilità di regia di Fulci, comunque tutt’altro che scevra di violenza, copulata con una fantastica atmosfera (specialmente nella sequenza al cimitero), ottimi attori, ed una storia…. beh, qui sta il problema che mi impedisce di definire questo un buon film. O meglio, sta nella sceneggiatura.

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Queste “concessioni forzate/sentite necessarie” all’opera originale non sono un problema, è sempre Il Gatto Nero, quindi vi lamentereste di non vedere le scene chiave che definiscono la storia, ma purtroppo il modo in cui sono inserite qui fa sì che vengano a discapito di altri plot ploint, come il fatto che il dr. Miles stia registrando le voci dei morti per cercare di carpirne i segreti e acquisire ancora più poteri paranormali (più di poter sapere cosa è successo ad una persona usando un oggetto che gli apparteneva)… mai sviluppato a fondo. Quello, ed il ritmo della narrazione nell’atto finale è un po’ sghemba.

Se non altro questo rende un po’ più interessante vedere le varie “deviazioni” che la trama prende prima di arrivare alla prevista/voluta conclusione che vi aspettereste per Il Gatto Nero, c’è un po’ di mistero nel capire dove esattamente i vari elementi paranormali andranno a collimare, la fotografia è ottima, i pochi effetti speciali decenti-buoni, anche il tema musicale (100 % “film horror italiano anni 80”) è molto gradevole.

Forse non l’adattamento ideale della storia di Poe, specialmente per chi vuole alta fedeltà al materiale originale (qui rispettata solo per le scene madri del racconto), ma comunque un buon – seppur difettato – pezzo della filmografia di Fulci che merita di essere visto almeno una volta, senza farsi scoraggiare dalla mancanza di violento gore associato al celebrato regista romano.

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