[EXPRESSO] A Quiet Place (2018) | STFU

A Quiet Place 2018 locandina

Uno degli “horror darling” di questi mesi, A Quiet Place è un incredibile debutto alla regia per John Krasinski (qui sia regista che attore).

La tagline americana che formava l’acronimo STFU (replicata in alcuni poster italiani per formare l’equivalente “TACI”) non è solo un deciso consiglio ad un pubblico che ne ha assai bisogno, ma è vangelo per la famiglia protagonista, costretta a vivere nell’assoluto silenzio (ed in completo terrore) a causa di mostri che si avventano su ogni cosa produca un forte rumore.

L’uso del suono elemento cardinale della storia di per sé non è nuovo (vedesi film come Hush, ed anche Pontypool), e quello che il film ci fa con l’idea può sembrare simplicistico, ma è tutt’altro che una trovata da due soldi, in quanto è fondamentale a creare la superba atmosfera che avvolge ogni secondo, capace di tendervi come violini e far funzionare un jump scare di cui ridereste in altri film (è uno dei pochi jumpscare che mi abbia preso alla sprovvista, devo ammettere).

Il terrore è palpabile, onnipresente, anche grazie alla rarefazione dei dialoghi (pochi, ma che vanno al punto), che ci sono ma sono spesso fatti con il linguaggio dei segni, quando non sussurrati flebilmente, permettendo alla narrazione di essere in gran parte puramente cinematografica, senza perdere tempo a spiegarvi fin troppo nel dettaglio cosa sono questi mostri (che hanno un ottimo design ed altissimi livelli di produzione), da dove vengono, dandovi le informazioni necessarie in maniera né sbrigativa né prolissa.

Inoltre il film usa benissimo la dinamica familiare per affrontare momenti drammatici di ottima fattura, con personaggi credibili di cui vi importerà, un ottimo cast, ed il ritmo della narrazione è perfettamente calibrato, un continuo escalare che vi terrà le pupille incollate allo schermo.

Immersivo, inquietante, atmosferico, zitti ed andate a vederlo ORA!

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[EXPRESSO] Suburbicon (2017) | Amerikana

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I fratelli Coenn tornano al cinema, diretti da George Clooney, stavolta satirizzando il cosidetto stile americana, girandosi al passato illidiaco ed irreale propagandato negli anni 50, per guardare indirettamente ed impietosamente alla moderna società americana, ambientando il tutto nella deliziosa piccola cittadina di Suburbicon, – come la tagline recita – “dove tutto è come sembra”. La comunità perfetta, i vicini perfetti, tutto come nelle locandine glorificanti l’american way of life.

Ovviamente, non tutto è come sembra, ed anche una normale famiglia dei sobborghi – i Lodge – subisce abusi impensabili, con un rapimento ed omicidio che si consumano molto presto ai loro danni, portando la famiglia in forte crisi, ed allertando la comunità non abituata a situazioni del genere, sicuramente non abituata all’idea di avere una famiglia di afroamericani nel loro quartiere, la quale è osservata a vista e poi molestata da orde di razzisti infoiati che vorrebbero cacciarli.

Non importa quale nefandezza o crimine si consuma tra le pareti dei “rispettabili cittadini”, la comunità si troverà spesso unità nell’essere più ripugnante possibile, nell’additare gli estranei, coloro che non sono bianchi e/o pregano lo stesso dio, e tutto può essere scusato nel nome di valori di pura facciata. Ed onestamente il film è alquanto teso e terrificante, gradualmente dà significato a scene alquanto strane ed assurde quando presentate, ed anche quando il film rimuove i veli, non siete mai esattamente sicuri verso quale scenario e su quale nota cruda, su quale impenitente disillusione il tutto si concluderà.

È un film che esce al momento giusto per il parallelo che fa, anche se sembra “trattenersi” appositamente spostando tutto al passato, ma a parte questo, Suburbicon è un’eccelsa commedia nera da vedere tutta d’un fiato, con un cast eccelso, tra cui un fantastico Matt Damon nei panni del padre di famiglia.

Consigliato.

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