Non lasciatevi confondere dal titolo, questo non è un altro film su Camelot (dove non conviene andare se temete musical improvvisati) o sul ciclo bretone, ma una co-produzione italo-belga che racconta la leggenda di Romolo e Remo, sulla fondazione di Roma quindi.
Ma non aspettatevi palazzi nobili e complotti politici tra senatori, questa è appunto una storia ambientata in un periodo poco più che primitivo, con tribù che vivono di pastorizia, guerrieri vestiti con pelli di animali e poco altro, con continui saccheggi, villaggi rasi al suolo e persone catturate per combattere e finire sacrificate alla fiamma divina, in speranza che il Dio comunichi con loro e (forse) il destino non gli riservi altre crudeltà.
Questa è soprattutto la storia di due fratelli, di legami fortissimi, di fatalità e tragedia, come potreste immaginare (meno la lupa), solo che ha – pressapoco – la violenza grafica di un cannibal movie italiano anni 70, senza il sensazionalismo d’exploitation (non c’è nessuna scena in cui a qualcuno tagliano il fallo, per esempio, ne ce n’era bisogno), e con un fortissimo stile che mostra una forte ambizione artistica (o “d’autore”, se volete) nel voler creare questa “Roma B.C.” assolutamente brutale, crudele, rozza, in cui si sopravvive con unghie e denti, si decapita e sgozza per non essere sgozzati da altri, in cui si crede nella sacralità del fuoco e nella magia, ed in cui si parla (appropriatamente) un proto-latino, con sottotitoli in italiano.
Il film di Matteo Rovere è una gradita sorpresa, sia perchè uscì nei cinema senza nessuna fanfara (o comunque pochissima), sia perchè è un’ottimo film con forte ambizione, un po’ lento a tratti ma che vale la pena vedere fino in fondo, quel tipo di cinema d’autore che di solito va “importato”, e su un soggetto raramente usato nel cinema, specialmente in questo modo.