Il Grind Cafè di questo mese arriva in anticipo, anche per capitalizzare sulla festività di turno, e perchè mi piace il tematismo in generale, e quello di San Valentino non è certamente uno schifato dai film horror, sarebbe sorprendente il contrario visto che nulla è troppo sacro per l’horror (e l’industria del cinema in generale, a ben vedere), figuriamoci il giorno in cui la populazio decide di dover mostrare coniugazione, perchè gli altri giorni dell’anno le persone sono strette nella fredda morsa delle relazioni amorose mantenute per status quo, tutti lo sanno.
Daremo un’occhiata al remake di San Valentino di Sangue, ed anche ad un titolo della cara vecchia Hammer Films, per amor di varietà. Non molto altro da dire, onestamente, è un numero su film horror a tema, e ho finito il sarcasmo e cinismo in questo caso. Ricrescerà, tranquilli.
Quindi, nel nome di Ian Curtis, buona lettura!
Anno: 2009
Nazione: Stati Uniti
Durata: 1 ora e 35 minuti
Regia: Patrick Lussier
Giusto per farvi capire da che generazione vengo, io questo l’ho visto al cinema quando uscì, ed è tutt’ora l’unico film che ho visto ubriaco come un tegolo, ed in 3D con occhialini (credo), appunto perchè ero ubriaco. 🙂 In retrospettiva non fu una decisione così assurda, ma non potendo basare la mia recensione su ricordi vecchi di 9 anni (ancor più in quanto pucciati nell’alcol), è una scusa come un’altra per vederlo in 2D ed usare un po’ Netflix che pure ho.
Come potreste già sapere (o dedurre dal titolo), questo è un remake di San Valentino Di Sangue del 1981, uno slasher noto anche per l’apprezzamento riservatogli da Tarantino, che pensavo di vedere e recensire per questo numero del Grind Cafè, ma ho deciso di rimandare per dare spazio a qualcosa di diverso e dare maggiore varietà al numero.
Anche se il sapere che è un remake non è così necessario, visto che questo è uno slasher a tema festivo, ma sì, come nel film di George Mihalka c’è di mezzo una miniera ed un pazzo mascherato che uccide persone con arma a tema (il piccone, in questo caso). La premessa è che Tom Hanniger torna nella sua cittadina per San Valentino, esattamente nel decennale di un massacro operato dal minatore Harry Warden, che ha ucciso 22 persone prima di essere freddato dalla polizia mentre si rifugia nella miniera.
Il ritorno di Tom è malvisto dalla comunità, visto che proprio allora un tizio vestito da minatore (con tanto di maschera di protezione) inizia ad uccidere i giovani del paesi, e Tom si mette alla ricerca del killer assieme alla sua ex-fidanzata, Sarah, e lo sceriffo del paese, Axel, temendo che Harry Warden sia sopravvissuto in qualche modo e sia tornato per vendicarsi, per “finire quello che aveva iniziato”, come si usa dire in questi film.
La maggiore attrattiva del film fu (ed è) sicuramente Jensen Ackles, sì, Dean Winchester (strano che non abbiano messo nel cast anche Jared Padalecki, ma apprezzo non abbino forzato una relazione fraternale nello script per questioni di marketing), il quale fu in altri due film, Ten Inch Hero ed un altro horror, Devour – Il Gioco Di Satana. L’altro attore di rilievo è Jamie King, la quale ha un’interessante carriera, da Pearl Harbour a White Chicks, da Fanboys ad i due Sin City, con altri “tuffi” nell’horror, presente anche nell’assai libertino remake del 2011 di Silent Night, Deadly Night, e quello del 2010 di Mother’s Day.
I personaggi non sono nulla di che, non volutamente detestabili da rendere soddisfacente la loro morte (beh, non tutti), sono funzionali alla narrativa, ma poco altro, caratterizzati quanto basta per non essere caricature, ed i tre personaggi principali hanno un po’ di profondità. Per un film così il cast fa un decente lavoro, anche se i migliori attori non sono Ackles e King, ma Tom Atkins e Kevin Tighe nei panni di vecchi ufficiali.
Menzione speciale per Betsy Rue (nota per esser stata coniglietta di Playboy) che dopo esser stata scaricata dal suo compagno (il quale ha pure fatto un filmino della loro a sua insaputa) decide di prendere una pistola e confrontarlo prima che scappi, sempre nuda come un baco, nella neve.
Questa è dedizione, e non sono affatto sarcastico, merita un plauso davvero per la sua performance, ci vogliono “palle d’acciaio” per girare una scena come quella con le membra esposte agli elementi così. 🙂
Ho diversi occhialini 3D da due lire, quelli con le lenti rosse e blu (un paio inclusi in House Of The Dead Overkill per PS3), ma non ho tv che supportano il 3D (né ho intenzione di prenderne una apposta per questa), e sì, si vede chiaramente che fu girato interamente per il 3D, con ovvi momenti pensati per il 3D notabili anche nella versione “2D”. Di solito trovo il 3D una trovata senza particolare merito e che non vale il prezzo aggiuntivo… e questo film non è eccezione, ma devo riconoscere che il film utilizza meglio la tecnologia, di sicuro più rispetto altri film horror come Saw Il Capitolo Finale 3D che la utilizzano così poco da chiedersi perchè farlo in 3D.
Certo, essendo uno slasher ovvio che il 3D è utilizzato per l’obbligatorio lancio di oggetti/armi contro lo schermo, ma appunto, ci sono altri tocchi pensati per dare maggiore efficacia all’effetto 3D, e le uccisioni sono assai godibili, anche quando non sono pensate per lanciarvi i brandelli nel muso sono violenti, con una discreta varietà ed ottimo gore, con buoni effetti pratici e non, quello che vi potete aspettare da una produzione Lionsgate (quella di Saw, per fare esempio), anche se in alcuni rari e specifici casi gli effetti fanno un po’ cagare, in un caso perchè il video non è in 3D, ma in altri non so, e si notano appunto perchè il gore è di buona fattura ed i dettagli sui corpi molto curati.
(C’è in commercio una versione con film in formato Blu-Ray e DVD, e con quattro paia di occhialini 3D con lenti blu e rosse, ad un prezzo decente per il contenuto, però appunto, è 3D preistorico – che non richiede una 3D TV, ma è quello che è- , non quello moderno)
Il twist finale è un po’ deboluccio, anche se non me lo ricordassi dalla mia visione al cinema (è una delle poche cose che mi ricordavo del film dalla visione di 9 anni fa) non è che mi prenderebbe troppo di sorpresa, perchè od era quello o la chiaramente falsa pista suggerita dal film, che però poteva benissimo essere un twist di per sé. Non il copione migliore del mondo, visto che ha scene ed elementi pensati solo per sorprendere lo spettatore, che non hanno senso per i personaggio o la trama, cosa su cui il film glissa, accelerando il ritmo della narrazione e non attirando più attenzione su qualcosa che – se ci pensate su più di un secondo – non ha molto senso.
Tornando sul colpo di scena finale, sì, nulla di particolarmente originale, creativo, o solido, assai tipico per il genere, sul dozzinale ma non troppo, alla fine passabile, ed il tutto termina con il tipico sequel bait da slasher, che non devo neanche stare a descrivervi, tanto è tipico e tradizionale, a modo suo. “Esca” che però non è ancora stata presa da nessuno, nel bene e nel male non c’è nessun bisogno di un seguito.
Commento Finale
Non posso giudicare San Valentino Di Sangue 3D come remake del film del 198x, ma posso dire che – preso a sé – quello di Patrick Lussier è un decente slasher, che azzecca tutto quello che di solito apprezziamo in un film horror di questo sottogenere, ovvero le uccisioni ed il gore, un sufficientemente imponente serial killer mascherato con un’arma caratteristica ed un gusto per lo scenico, con una trama servizievole e dei personaggi ok, con buon cast che attirò l’attenzione di molti grazie a Jensen “Dean Winchester” Ackles, ma ha anche attori più navigati in ruoli di supporto, ed una notabile performance di Betsy Rue, che ha una particina ma è davvero impavida a schermo.
Una buona esecuzione ed una realizzazione tecnica che si impegna nel dare maggior impatto all’effetto 3D (sforzo notabile anche nella versione 2D) rendono godibile e decente uno slasher molto formulaico in sé, aiutati da ottimi valori di produzione (come vi aspettereste da una produzione Lionsgate), ed una caratterizzazione che non è completamente mononota, sebbene lo script sembri più adeguato ad un film con maggiore mistero ed atmosfera, e stride – leggermente – con la regia rapida e tutt’altro che contemplativa di Lussier, cosa che pur “aiuta eccome” ad evitare che la narrazione rallenti troppo e si impantani.

Attenti al Tipo Timido.
Nulla di nuovo, ma è invecchiato leggermente meglio di quanto pensavo, ed è un titolo decisamente valido per fan degli slasher movies, sicuramente lo slasher che fa miglior uso del 3D (per quanto sia una trovata e poco altro) che abbia visto personalmente.
Non male davvero, se già il nome e la locandina/cover vi stuzzicano, non rimarrete delusi, ma neanche sorpresi, purtroppo. Decente, ma migliorabile dall’alcol, come molte cose su questa terra.
Anno: 1970
Nazione: Regno Unito, Stati Uniti
Durata: 1 ora e 27 minuti
Regia: Roy Ward Baker
Basato sul libro Carmilla di J. Sheridan Le Fanu, e primo film della cosiddetta “trilogia Karnstein” (con Tudor Gates a curare la sceneggiatura di ogni film e la famiglia Karnstein come ricorrenza), The Vampire Lovers era un film con un certo coraggio, visto che trattava esplicitamente di tematiche saffiche. Con vampiri, per maggior realismo, ovviamente. (smug face)
Dopo un prologo sorprendentemente atmosferico (e che NON è tirato via solo per far vedere gore nei primi minuti di film, stavolta) in cui ci viene narrata la natura delle immonde creature non-morte – nel caso il titolo “Vampiri Amanti” non fosse chiaro a sufficienza – e vediamo una decapitazione, siamo in piena Austria del 18° secolo, tra i balli dell’alta società in ville di lusso, e Peter Cushing è lì. Su richiesta di una sua conoscente, decide di accogliere nella residenza la figlia di lei, Marcilla, in modo che possa fare compagnia alla propria nel frattempo.
Le due diventano molto amiche, ma Marcilla desidera di più, ed il suo desiderio carnale lascerà il segno, prima di fuggire nella notte..
E togliamoci subito questo di torno: sì, “Marcilla” è il nuovo “Alucard”, cosa resa ancora più risibile dal fatto che viene anagrammato ben 2 volte in questo film. XD
Sotto molti aspetti, questa è una tipica storia di vampiri Hammer, ma la declinazione al femminile aiutano a renderla una variazione interessante, grazie anche al personaggio stesso di Carmilla (o come volete anagrammarlo), che sì utilizza il suo status per aggirare furbescamente i timori della struttura sociale di allora, ma è anche un personaggio non mononota, sì una creatura immonda che affonda i canini per nutrirsi di plasma, ma anche dolce, capace di sorprendente empatia e gentilezza.
Sebbene la connotazione erotica del vampiro non sia affatto nuova (anzi), l’angolo saffico era qualcosa di allora decisamente poco esplorato perchè taboo, e sono sicuro che al tempo questo film era spinto, ma adesso è decisamente soft-core, quasi innocente (un culo e due paia di tette le trovi anche su twitter, per dire), non decisamente il film horror progressivo che nessuno si aspettava, ma c’è una maggiore relazione amicale e personale tra Carmilla/Marcilla e le sue vittime, più enfasi su essa che sul lato predatorio del vampiro (che pur è nella sua natura di mostro), con un tocco tragico, l’incertezza se Carmilla sia frustrata dal conflitto tra quello che vuole e la sete di sangue che deve soddisfare.
Il film semplicemente dedica più spazio alla caratterizzazione di Carmilla (Ingrid Pitt) che all’azione, presente quasi tutta nel prologo ed epilogo, il che rende la narrativa leggermente squilibrata, ed è un po’ ridicolo vedere il film riciclare sé stesso per flashback di cose successe non così tanto tempo fa, non in un film che non dura neanche 90 minuti ed ha la “classica” chiusura brusca dei film Hammer, specialmente frettolosa nei loro titoli minori, o comunque non considerati di spicco (ed ovvi insert shot nel prologo non aiutano).
A questo proposito, non è sicuramente la loro produzione più costosa (giusto per promemoria, la Hammer non ha mai avuto i trillioni), come si può notare fin dal prologo, ma se non altro non c’è il problema di The Gorgon, qui la qualità degli effetti speciali è consistente per tutto il film, anche se si poteva fare di meglio per l’epoca. Ed in alcuni casi è una combinazione di effetti pratici antiquati, come nella scena in cui dovrebbe esserci un lupo, ma è volutamente reso poco chiaro dalle inquadrature e dal montaggio, ed alla fine sembra che abbiano tirato addosso all’attrice una pelliccia od un tappeto. Un po’ ridicolo.
Molte delle tipiche regole “vecchia scuola” sui vampiri ed i loro poteri sono qui mantenute, come vi aspettereste da un film Hammer, così come le ambientazioni che hanno poco di austriaco e difatti il tutto è girato in Inghilterra, con scenari colmi di simboli religiosi, taverne, e nebbia a vista d’occhio ovunque, il che fa sempre felice gli amanti dell’horror d’essai, come me.
A questo proposito, Peter Cushing, che pressapoco veniva di default con ogni film della compagnia (come dovreste ben sapere), qui nei panni del “Generale” (credo abbi un nome, ma è creditato davvero come “Il Generale”), non che importi moltissimo visto che pure qui lo vedrete ad impalare attori britannici, anche se questa non è la serie di Dracula dove pure era Van Helsing. Da una parte mi spiace per il typecasting, ma da una parte no, perchè Cushing era davvero un perfetto attore inglese, pronto a recitare come se dovesse vincere qualche premio a prescindere dal ruolo.
Commento Finale
The Vampire Lovers è una valida variazione sulle classiche storie di vampiri in cui la Hammer era già versata al tempo, con enfasi su temi saffici che però non sono exploitativi, ed onestamente oggi sono così soft-core da essere quasi innocenti, risultando (involontariamente?) di gusto, tutto sommato, anche se fu un film venduto con frasi tipo “teneri momenti tra ninfe di sangue”.
C’è tutto quello che potreste volere da un titolo horror della Hammer di quegli anni, tra gli scenari inglesi gotici al cubo, tonnellate di nebbia, le classiche regole sui vampiri, il sangue ed il gore… tranne un maggior budget per gli effetti speciali e la presenza di Christopher Lee. Ma tranquilli, è un film Hammer, quindi c’è Peter Cushing, affidabile e professionale come sempre, anche se finisce per fare Van Helsing anche quando non è nella serie in cui lo interpreta.
Una caratterizzazione della protagonista (dall’anagrammabile ed anagrammato nome) più approfondita del previsto aiuta a sopperire alla narrativa non perfettamente bilanciata, ed a distinguerla quanto basta dalla solita figura del vampiro come predatore sessuale, alla quale appartiene senza però essere la versione femminile di Dracula, ma qualcosina in più.
Un film più che decente, di sicuro buono a sufficienza da aver dato inizio ad una trilogia basata sulla famiglia Karnstein. Non uno dei maggiori classici, ma un titolo minore Hammer non dimenticabile come potreste pensare, affatto.
Una risposta a "GRIND CAFE EX #9: Ventricular Buddies"